Fuga del romantico che era in me.




Avresti almeno potuto farmi capire che rischiavo di perderti.
Si certo, forse avrei dovuto accorgermene da solo.
Ma dove sei andato? Si sparisce così?
Il tempo di distrarmi, preso dagli impegni, dalle mie fasi di stasi,
da concrete illusioni, forze maggiori e ambiti traguardi neanche lambiti.
E dopo non ti ho più trovato.
Dopo.
Sei sparito, porca troia.
Lasciandomi qui, cinico e talvolta volgare.
Eppure non puoi essere andato lontano. Devi essere comunque dentro di me, da qualche parte.
Lo so, ne sono sicuro. Come un bambino sa di una colpa.
Perché eri qui fino a poco tempo fa e io ti vedevo benissimo. Chiaro. La cosa più palese di me.
E diversa da quella degli altri perché cresciuta in cattività:
la banalità che spesso caratterizza quelli della tua specie, il cliché che ti rappresenta, tu lo pigliavi a calci in culo.
Eri limpido come il luccichio d’un diamante a mille metri sottoterra.
E io ero l’africano che faceva finta di non vederti, invece ti rubava di nascosto al padrone
mettendoti tra i denti o ingoiandoti,
che non ti avrebbe visto nessuno per un po’ finché non sarebbe stato il momento opportuno.
Nessuno si sarebbe accorto di te finché non ti avessi portato da qualche specialista,
o solo qualcuno che sapesse darti valore, o anche un mezzo delinquente di contrabbandiere.
Per vendere quella specialità al prezzo più comodo.
Non per forza il migliore, ma quello che mi serviva.
Ma non puoi essere andato lontano.
Puoi cercare di sporcarti quanto vuoi,
di vagare tra le viscere nel mio quartiere più caldo, macchiandoti di esperienze promiscue,
oppure andare al nord, vestito pesante, cercando il polo,
credendo di scoprire i limiti della mia esistenza.
Fuggi, scappa, rinchiuditi in qualche sottoscapola
ma non sarai mai diverso.
Che cazzo, lo so che ti aggiri tra i miei fastidi e le mie insofferenze,
tra la mia infanzia e il mio decadentismo,
tra le pareti di instabili ocra palazzi e i pruriti di vecchi biglietti staccati,
tra i cartelli che indicano il pancreas e quelli verso l’aorta ascendente,
che la strada tra lo stomaco e il cuore è la più veloce da percorrere
e, al tempo stesso, la più facile dove nascondersi;
tra le piccole cancrene invisibili e l’immondizia davanti alla discarica,
tra i ricordi dolorosi ormai seminterrati o le nebbiose sopraelevate
dove viaggiano lenti quelli piacevoli.
Ecco, probabilmente sei nascosto nel mio bronx del cazzo.
Sappi che ti sto venendo a cercare.
Vengo a prenderti.
Ci siamo sporcati entrambi.
Se sei rimasto ferito per alcuni fatti accaduti in passato lo capisco.
Forse è successo qualcosa che ti ha fatto allontanare.
Sei sempre stato un ingenuo, lo sappiamo, e qualcosa di certo ti ha deluso.
Ma bisogna pur crescere, no?
Io ti amavo profondamente ma era anche giusto che mi attaccassi alla realtà.
Se ogni tanto ti ho lasciato da parte è stato perché era necessario.
Ho dovuto.
Ho “dovuto” staccarmi da te, allontanarti per un po’.
Finché un giorno, dopo settimane che non ti cercavo,
mi sono accorto che non ti trovavo più.
Solo ogni tanto mi sembrava ancora che tu ci fossi, certe sere.
E forse ora ho bisogno di riaverti per tornare me stesso.
O anche solo per capire se eri stato un’illusione, una mia proiezione fantastica,
e se alla fine io sono diventato diverso da te o ancora ti somiglio.
Ma non puoi essere andato lontano.
Dove sei? Ti prego torna, o almeno fatti vedere qualche volta.
Mi manchi tanto.

4 commenti su “Fuga del romantico che era in me.

  1. Beh, dai… il video che ho messo è abbastanza romantico no? Cmq la poesia è stata terapeutica.. e per quello l’avevo scritta probabilmente. Ma è un discorso così lungo Pan… troppo complicato qui 😉

Lascia un commento